martedì 10 ottobre 2023

Il "setaccio".

C'è stato un tempo in cui si credeva che gli agnelli crescessero sugli alberi.

Sir John Mandeville, un cavaliere inglese vissuto nel XIV secolo, scrive nelle sue memorie di un incidente che gli capita in India. Nel corso del viaggio si imbatte in una pianta molto insolita, che genera frutti simili a zucche: “E quando sono mature, gli uomini le tagliano e trovano al loro interno una piccola bestia, con carne, ossa e sangue, come se fosse un piccolo agnello senza lana. E gli uomini mangiano sia il frutto che la bestia, ed è una grande maraviglia. Di quel frutto anch’io ho mangiato, sebbene fosse maraviglioso, ma so bene che Dio è maraviglioso nelle sue Opere”.

Un agnello che cresce dentro una zucca? Che cosa dobbiamo pensare di simili affermazioni? È vero che, secondo gli studiosi, probabilmente Mandeville non è nemmeno mai esistito o, se è esistito, si è solo immaginato molte delle cose di cui ha scritto e che forse per diversi suoi racconti si è ispirato a quelli precedenti di Marco Polo.

Tuttavia, il simpatico cavaliere errante non fu l’unico a raccontare di agnelli vegetali. Poco prima di lui, lo aveva fatto un italiano, Odorico da Pordenone, un sacerdote francescano, dopo la morte addirittura santificato, partito missionario per l’Oriente nel 1318. Nelle memorie dettate al fratello, Odorico racconta di avere sentito “da persone degne di credito”, che in Persia crescono zucche al cui interno, una volta mature, si trovano piccoli animali, come agnelli. 

Ovviamente non esiste e non è mai esistito nulla del genere. È chiaro che queste storie sono false: come si può pensare che gli agnelli crescano sugli alberi? Certo, è chiaro. È ovvio. Ma lo è adesso. Per secoli quelle, e moltissime altre storie simili (compresa quella relativa a un’altra pianta da cui invece si diceva nascessero embrioni umani), erano ritenute vere, tanto dal popolo quanto dagli studiosi. D’accordo, ma come facevano a esserne così sicuri, visto che alla fine nessuno aveva mai realmente visto, raccolto o mostrato pubblicamente anche un solo esemplare di tali prodigi?

Il fatto è che noi possiamo cercare di spiegare il mondo solo sulla base delle conoscenze disponibili, o di quelle che pensiamo siano le conoscenze disponibili. Quando gli antichi greci, nel corso dei numerosi contatti che ebbero con l’India, scoprirono per la prima volta il cotone, o per dirla con il più importante divulgatore in Occidente di notizie sull’India, Ctesia di Cnido, scoprirono gli “alberi che portano la lana”, si piantò forse il primo seme della leggenda dell’agnello vegetale. Con il passare dei secoli, dopo il lungo isolamento seguito alla caduta dell’Impero romano, non è difficile immaginare che l’aumento degli scambi tra Oriente e Occidente abbia indotto alcuni europei a fare due più due. I loro indumenti sono realizzati con la lana delle pecore, che sono animali; ma ecco che dall’Oriente arrivano commercianti carichi di lana (è cotone, in realtà, ma non importa) che spiegano essere ricavato da particolari piante. Che cosa dedurne? Che probabilmente nella Tartaria (l'attuale Asia centrale) le pecore nascono dalle piante. Logico. A mettere fine alla leggenda dell’agnello vegetale fu, nel 1683, il naturalista tedesco Engelbert Kaempfer che, su ordine di re Carlo XI, condusse una ricerca sistematica in Asia Minore e stabilì che, semplicemente, non esisteva un solo agnello vegetale al mondo.

Ci vollero, insomma, secoli prima di accertare che quelle interpretazioni della realtà erano, per l’appunto, solo leggende. Ma fino ad allora nessuno lo poteva nemmeno immaginare. Il fatto è che quando non sappiamo qualcosa, a volte non ci rendiamo nemmeno conto che c’è qualcosa da sapere. Non sappiamo di non sapere.

Oggi, con la strabiliante quantità di informazioni che si accumulano in ogni istante, è più facile per ciascuno di noi rendersi conto di quante cose non sappiamo e, dunque, dovrebbe essere più facile anche maturare la consapevolezza di non sapere (anche se, in realtà, non tutti ci arrivano, come purtroppo vediamo ogni giorno sui social). Ma fino a poco tempo fa, quando non si sapeva qualcosa ci si accontentava di spiegazioni provvisorie. E se un numero abbastanza grande di persone trovava ragionevoli quelle spiegazioni provvisorie, e magari di maggiore conforto rispetto a un quadro più ampio di credenze, esse finivano per trasformarsi in realtà consensuali.

Questo tipo di storie ci aiuta a capire meglio come si forma la conoscenza: si osserva il mondo e, attraverso il ragionamento, si sviluppano ipotesi. E fino al Seicento ci si fermava qui. Almeno finché Galileo, Cartesio e Bacone non rivoluzionarono il modo di conoscere la realtà del mondo, introducendo un metodo sperimentale, il metodo scientifico.

Non è che ciò che credevano le grandi civiltà del passato fosse tutto sbagliato. Anche nell’antichità c’erano grandi scienziati, soprattutto in Grecia, come Archimede, Euclide o Pitagora, ma le cose vere erano spesso mescolate alle leggende e alle falsità. Non c’era un criterio per separare i fatti dalle opinioni, ciò che si credeva da ciò che si poteva dimostrare. Valeva l’ipse dixit, l’autorevolezza di uno studioso, come per esempio Aristotele, che trasformava in “verità” qualunque cosa dicesse: l’idea era che una persona così intelligente non si poteva sbagliare mai. Che cosa mancava?

Mancava quello che Piero Angela chiamava “il setaccio”: un sistema, cioè, capace di filtrare in modo indipendente la validità di una ricerca da una scoperta.

La straordinaria rivoluzione per il pensiero umano introdotta con il metodo scientifico equivale, dunque, a questo “setaccio” e consiste essenzialmente nel fatto che 

una volta formulata un’ipotesi per spiegare un fenomeno, 

non ci si ferma lì, 

ma si mette quell’ipotesi alla prova attraverso il controllo sperimentale: 

si accumulano cioè osservazioni 

e si conducono esperimenti capaci di confermarla o smentirla.

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Semplice e chiaro! O no? In effetti una buona parte degli esseri umani (io compreso, a volte) si affida ad altri "sistemi": intuito, sensazioni, ipse dixit, "l'ha detto mio cugggino!", ecc.

Per fortuna esiste la scienza ed esistono i bravi scienziati!


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