I
dati che seguono sono
diffusi
dal Ministero.
Tra
i 117 giornali e periodici (!!) che si dividono la torta dei contributi
pubblici all’editoria, ben 55 (pari al 47,01%) sono testate e
riviste di chiara matrice cattolica se non addirittura organi di
stampa che fanno capo a diocesi italiane. In
pratica quasi un giornale su due finanziato dallo Stato ha come
editore di riferimento la Chiesa.
Si
scopre che su
72 milioni e 300 mila euro, i 55 beneficiari di orientamento
cattolico incassano 25 milioni e 915 mila euro, cioè il 35,84% del
totale.
Sul podio Famiglia
cristiana
(6 milioni), Avvenire
(5 milioni e 573mila euro) e Il
cittadino
(1.424.000 euro), testata diocesana di Lodi e Milano.
Il
36% dei 72 milioni che dovrebbero essere destinati a sostenere il
pluralismo dell’informazione vanno a finire in tasca alla stampa
controllata da diocesi, congregazioni religiose e gruppi come
Comunione e Liberazione.
“Avvenire, il giornale dei vescovi che incassa 5,6 milioni di euro, è (apparentemente) il quinto
quotidiano più seguito in Italia»,
spiega Raffaele Carcano, direttore della rivista edita dall’Uaar,
Nessun
Dogma,
ma
se
si controlla meglio
si scopre che il
quotidiano dei vescovi detiene un discutibile record: l’85% delle
copie – cartacee e digitali – è costituito da copie gratis,
iperscontate o acquistate da non specificati terzi
(parrocchie: in un circolo vizioso per cui le
“vendite” lievitano e con esse anche i fondi ricevuti).
In pratica con i milioni dei contribuenti può permettersi di
circolare gratuitamente o a prezzi di estremo favore, rappresentando
così il giornale proporzionalmente meno scelto (rispetto ai fondi
ricevuti) da chi vuole spendere qualcosa per leggersene uno.
L’ennesimo gigantesco spreco di fondi statali è una volta di più
un carissimo regalo alla Chiesa».
Il dato effettivo, per il giornale di proprietà dei vescovi, è
semplicemente catastrofico. Precipita infatti a circa 15.000 copie,
uscendo dalla top quindici della classifica. Nessun altro
quotidiano tra quelli presi in considerazione si avvicina anche
soltanto lontanamente a dati di questo tipo.
Quanto
sopra stando ai dati di vendita Ads pubblicati
da Prima Comunicazione
(testata specializzata in editoria).
Riassumendo:
il quotidiano dei vescovi, quello che ha alle spalle la più grande
multinazionale del mondo e i giganteschi introiti dell’8×1000,
incassa quasi sei milioni all’anno di contributi statali. Con
questi soldi può permettersi di circolare soprattutto gratuitamente,
o a prezzi di estremo favore (di chi?), rappresentando così il
giornale proporzionalmente meno scelto da chi vuole spendere qualcosa
per leggersene uno.
Si
tratta di un caso di proselitismo «dopato» dalle tasse pagate dai
contribuenti – che, grazie alla secolarizzazione, in
due casi su cinque
non sono ormai neppure cattolici. E che va ad aggiungersi
all’evangelizzazione della Rai: finanziata dai contribuenti per
erogare servizio pubblico, ma in cui l’opinione cattolica vi è
espressa con frequenza letteralmente
totalitaria.
La
sforbiciata dovrebbe aver luogo non solo per ragioni di laicità, ma
– ancora prima – per banalissimi motivi di decenza.