martedì 31 ottobre 2023

Universo dal nulla?

 Ho trovato questo articolo decisamente interessante che cerca di spiegare se e come l'Universo potrebbe essere nato. Secondo il mio modestissimo parere semplifica troppo e, più che dare risposte, pone domande ma è comunque meritevole di attenzione per la sintesi che fa di fenomeni enormemente complessi.

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L’universo è nato dal nulla? E cosa c’era prima del Big Bang? Le possibili risposte

Se il nostro universo sia nato dal nulla o se c’era qualcosa prima rimane tutt’ora un mistero. Questo, però, non impedisce ad alcuni fisici di provare a capirlo

“L’ultima stella si raffredderà lentamente e svanirà. Alla fine l’universo tornerà ad essere vuoto, buio, senza vita né significato”. Non è l’incipit di un racconto di fantascienza, ma le parole del fisico Brian Cox nella serie tv della BBC intitolata “Universe”. La morte dell’ultima stella sarà solo l’inizio di un’epoca infinitamente lunga e oscura che segnerà la fine dell’universo per come lo conosciamo. Tutta la materia sarà consumata da mostruosi buchi neri, che a loro volta evaporeranno in deboli barlumi di luce. Lo spazio continuerà a espandersi, finché anche quella luce fioca diventerà troppo debole per interagire. Ogni attività dell’universo cesserà. Sembra una visione pessimistica del cosmo, ma molti astronomi credono sia stata proprio una condizione come quella appena descritta a dar vita all’universo attraverso il Big Bang. Cerchiamo di capire in che modo.

Perché non ha senso chiedersi cosa c’era prima del Big Bang

Prima di provare a spiegare cosa c’era prima del Big Bang, diamo un’occhiata a come è nata la materia che ci circonda. Se miriamo a spiegare le origini della materia fatta di atomi e molecole, di certo non c’era niente di tutto questo intorno al Big Bang, né c’è stato per centinaia di migliaia di anni dopo. In effetti, abbiamo una comprensione abbastanza dettagliata di come i primi atomi si siano formati da particelle più semplici, una volta che l’universo si era raffreddato abbastanza da rendere stabile la materia, e di come questi atomi si siano fusi in elementi più pesanti all’interno delle stelle.

Questa spiegazione, però, non dice se tutto abbia avuto origine dal nulla. Proviamo a tornare più indietro, alle prime particelle di protoni e neutroni, che insieme costituiscono il nucleo atomico. Sono comparse circa un decimillesimo di secondo dopo il Big Bang. E prima di quel momento, non c’era davvero materiale (nel senso più comune della parola). La fisica, però, ci consente di continuare a tracciare una linea temporale a ritroso, a quei processi fisici che precedono la materia stabile.

Qui entriamo nel regno della fisica speculativa, dato che non siamo in grado di produrre abbastanza energia in laboratorio per simulare i processi che avvenivano in quel momento. Una delle ipotesi più accreditate è che tutto fosse costituito da una zuppa bollente di particelle elementari chiamate quark, i cosiddetti mattoni di neutroni e protoni. In quel momento, tra l’altro, c’era materia e antimateria in quantità approssimativamente uguali. A ogni particella è associata un’antiparticella, ovvero una particella del tutto identica alla prima, se non fosse per il segno della carica elettrica. Ma come sono nate queste particelle?

Il Big Bang è nato dal nulla?

La teoria quantistica dei campi ci dice che anche un vuoto, corrispondente allo spaziotempo vuoto, è pieno di attività fisica sotto forma di fluttuazioni di energia. Tali fluttuazioni possono dare origine a particelle che fuoriescono e che scompaiono poco dopo. Può sembrare una stranezza matematica, ma gli scienziati sono stati in grado di individuarle in numerosi esperimenti.

A questo punto potremmo chiederci: da dove sbuca lo spaziotempo stesso? Proviamo a portare l’orologio ancora più indietro, nella cosiddetta “epoca di Planck”, un decimilionesimo di trilionesimo di trilionesimo di trilionesimo di secondo dopo il Big Bang. A questo punto lo spazio e il tempo stessi furono soggetti a fluttuazioni quantistiche. I fisici, normalmente, lavorano separatamente con la meccanica quantistica che governa il micromondo delle particelle, e con la relatività generale, che invece si applica su grandi scale cosmiche. Per comprendere l’era di Planck, abbiamo quindi bisogno di una teoria completa della gravità quantistica, unendo le due teorie.

La gravità quantistica

Attualmente non abbiamo una teoria che spieghi la gravità quantistica, ma sono stati fatti vari tentativi attraverso la teoria delle stringhe e la gravità quantistica ad anello. Secondo queste teorie, lo spazio e il tempo ordinari sono visti come emergenti, cioè come onde sulla superficie di un oceano profondo. Ciò che sperimentiamo come spazio e tempo sono il prodotto di processi quantistici che operano a livello microscopico più profondo.

Insomma, nell’era di Planck la nostra concezione ordinaria dello spazio e del tempo si sgretola, quindi non possiamo più fare affidamento su un’eventuale relazione di causa-effetto. Nonostante ciò, tutte le teorie candidate a spiegare la gravità quantistica descrivono qualcosa di fisico che stava accadendo nell’era primordiale dell’universo. Una sorta di precursore quantistico dello spazio e del tempo ordinari. Insomma, finché non faremo progressi verso una solida “teoria del tutto”, non saremo in grado di dare una risposta definitiva. Il massimo che possiamo dire con sicurezza è che la fisica, finora, non ha trovato prove di qualcosa che nasce dal nulla.

Valerio Novara Ottobre 17, 2023

https://www.passioneastronomia.it/e-se-luniverso-non-avesse-avuto-un-inizio/

Riferimenti: BBC


lunedì 23 ottobre 2023

Madre Teresa di Calcutta (3)


Madre Teresa di Calcutta, fu tutt'altro che tenera coi poveri che erano in stato di degenza nel suo cosiddetto ospedale, che in realtà aveva più le sembianze di un lazzaretto da terzo mondo che non, appunto, quelle di un vero ospedale. 

Una delle massime di Madre Teresa era che il dolore fisico avvicina il sofferente a Gesù, ed è proprio che sulla base di questa sua convinzione che il suo centro era sempre sprovvisto di analgesici e anestetici. A Madre Teresa interessava salvare le anime dei suoi degenti molto più della loro vita terrena, ed è per questo che nel suo lazzaretto c'erano più catechisti cattolici che non medici e infermieri

L'unico "miracolo" veramente accertato di Madre Teresa, resta la sparizione di svariati milioni di dollari derivanti dalle donazioni che riceveva da tutte le parti del mondo e che le avrebbero consentito, se solo l'avesse voluto, la costruzione di veri ed efficienti ospedali, tipo quelli dove andava a curarsi lei quando stava male, al posto di quelli fatiscenti che aveva invece approntato per l'accoglimento dei suoi poveri. 

Son ben felice di non essere mai stato un degente di uno dei suoi centri di misericordia e provo una gran tristezza per chi invece lo è stato.

Bruno Zucca, laureato in Medicina e Chirurgia all'Università Statale di Milano con una tesi di laurea in Psichiatria dal titolo "Il Linguaggio Simbolico delle Malattie Psicosomatiche". Ha seguito un percorso formativo psicoanalitico junghiano ed è stato allievo di Silvia Montefoschi.
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Madre Teresa di Calcutta (2)

Ero arrivato alla conclusione che Madre Teresa di Calcutta fosse non tanto un'amica dei poveri quanto un'amica della povertà. Lodava la povertà, la malattia e la sofferenza come doni dall'alto, e diceva alle persone di accettare questi doni con gioia

La sua celebre clinica di Calcutta in realtà non era che un ospizio primitivo, un posto dove la gente andava a morire, un luogo dove le cure mediche erano poche, quando non addirittura inesistenti (quando fu lei ad ammalarsi, volò in prima classe alla volta di una clinica privata in California). 

Le grandi somme di denaro raccolte venivano spese per la maggior parte nella costruzione di conventi in suo onore. Aveva fatto amicizia con tutta una serie di ricchi truffatori e sfruttatori, da Charles Lincoln della Lincoln Savings & Loans, alla ripugnante dinastia Duvalier di Haiti, accettando da entrambi generose donazioni di denaro che in realtà era stato rubato ai poveri.

Molto appropriatamente, è stato detto che lei preferisce i moribondi perché, quando ti trovi di fronte a uno che non può fare altro che morire, non hai bisogno di offrire molto altro.



Madre Teresa di Calcutta (1)

 Con questo post ne inauguro una serie su Madre Teresa di Calcutta, personaggio divisivo come pochi altri. Saranno tre o quattro. Come prima cosa chiariamo subito che Madre Teresa di Calcutta non era madre, non si chiamava Teresa e non era originaria di Calcutta.😁😁

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Se fossi costretta a scegliere tra Galileo e l'Inquisizione, sceglierei l'Inquisizione. (India is my country, and I am an Indian: Mother Teresa, indiatoday.in, 19 luglio 2013)

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Secondo me è bellissimo che i poveri accettino il loro destino, che lo condividano con la passione di Cristo. Penso che la sofferenza della povera gente sia di grande aiuto per il mondo. (Da una conferenza stampa a Anacostia, 25 giugno 1981)

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Per me è così chiaro: tutto delle Missionarie della Carità esiste solo per saziare la sete di Gesù. (https://it.wikiquote.org/wiki/Madre_Teresa_di_Calcutta)

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martedì 10 ottobre 2023

Il "setaccio".

C'è stato un tempo in cui si credeva che gli agnelli crescessero sugli alberi.

Sir John Mandeville, un cavaliere inglese vissuto nel XIV secolo, scrive nelle sue memorie di un incidente che gli capita in India. Nel corso del viaggio si imbatte in una pianta molto insolita, che genera frutti simili a zucche: “E quando sono mature, gli uomini le tagliano e trovano al loro interno una piccola bestia, con carne, ossa e sangue, come se fosse un piccolo agnello senza lana. E gli uomini mangiano sia il frutto che la bestia, ed è una grande maraviglia. Di quel frutto anch’io ho mangiato, sebbene fosse maraviglioso, ma so bene che Dio è maraviglioso nelle sue Opere”.

Un agnello che cresce dentro una zucca? Che cosa dobbiamo pensare di simili affermazioni? È vero che, secondo gli studiosi, probabilmente Mandeville non è nemmeno mai esistito o, se è esistito, si è solo immaginato molte delle cose di cui ha scritto e che forse per diversi suoi racconti si è ispirato a quelli precedenti di Marco Polo.

Tuttavia, il simpatico cavaliere errante non fu l’unico a raccontare di agnelli vegetali. Poco prima di lui, lo aveva fatto un italiano, Odorico da Pordenone, un sacerdote francescano, dopo la morte addirittura santificato, partito missionario per l’Oriente nel 1318. Nelle memorie dettate al fratello, Odorico racconta di avere sentito “da persone degne di credito”, che in Persia crescono zucche al cui interno, una volta mature, si trovano piccoli animali, come agnelli. 

Ovviamente non esiste e non è mai esistito nulla del genere. È chiaro che queste storie sono false: come si può pensare che gli agnelli crescano sugli alberi? Certo, è chiaro. È ovvio. Ma lo è adesso. Per secoli quelle, e moltissime altre storie simili (compresa quella relativa a un’altra pianta da cui invece si diceva nascessero embrioni umani), erano ritenute vere, tanto dal popolo quanto dagli studiosi. D’accordo, ma come facevano a esserne così sicuri, visto che alla fine nessuno aveva mai realmente visto, raccolto o mostrato pubblicamente anche un solo esemplare di tali prodigi?

Il fatto è che noi possiamo cercare di spiegare il mondo solo sulla base delle conoscenze disponibili, o di quelle che pensiamo siano le conoscenze disponibili. Quando gli antichi greci, nel corso dei numerosi contatti che ebbero con l’India, scoprirono per la prima volta il cotone, o per dirla con il più importante divulgatore in Occidente di notizie sull’India, Ctesia di Cnido, scoprirono gli “alberi che portano la lana”, si piantò forse il primo seme della leggenda dell’agnello vegetale. Con il passare dei secoli, dopo il lungo isolamento seguito alla caduta dell’Impero romano, non è difficile immaginare che l’aumento degli scambi tra Oriente e Occidente abbia indotto alcuni europei a fare due più due. I loro indumenti sono realizzati con la lana delle pecore, che sono animali; ma ecco che dall’Oriente arrivano commercianti carichi di lana (è cotone, in realtà, ma non importa) che spiegano essere ricavato da particolari piante. Che cosa dedurne? Che probabilmente nella Tartaria (l'attuale Asia centrale) le pecore nascono dalle piante. Logico. A mettere fine alla leggenda dell’agnello vegetale fu, nel 1683, il naturalista tedesco Engelbert Kaempfer che, su ordine di re Carlo XI, condusse una ricerca sistematica in Asia Minore e stabilì che, semplicemente, non esisteva un solo agnello vegetale al mondo.

Ci vollero, insomma, secoli prima di accertare che quelle interpretazioni della realtà erano, per l’appunto, solo leggende. Ma fino ad allora nessuno lo poteva nemmeno immaginare. Il fatto è che quando non sappiamo qualcosa, a volte non ci rendiamo nemmeno conto che c’è qualcosa da sapere. Non sappiamo di non sapere.

Oggi, con la strabiliante quantità di informazioni che si accumulano in ogni istante, è più facile per ciascuno di noi rendersi conto di quante cose non sappiamo e, dunque, dovrebbe essere più facile anche maturare la consapevolezza di non sapere (anche se, in realtà, non tutti ci arrivano, come purtroppo vediamo ogni giorno sui social). Ma fino a poco tempo fa, quando non si sapeva qualcosa ci si accontentava di spiegazioni provvisorie. E se un numero abbastanza grande di persone trovava ragionevoli quelle spiegazioni provvisorie, e magari di maggiore conforto rispetto a un quadro più ampio di credenze, esse finivano per trasformarsi in realtà consensuali.

Questo tipo di storie ci aiuta a capire meglio come si forma la conoscenza: si osserva il mondo e, attraverso il ragionamento, si sviluppano ipotesi. E fino al Seicento ci si fermava qui. Almeno finché Galileo, Cartesio e Bacone non rivoluzionarono il modo di conoscere la realtà del mondo, introducendo un metodo sperimentale, il metodo scientifico.

Non è che ciò che credevano le grandi civiltà del passato fosse tutto sbagliato. Anche nell’antichità c’erano grandi scienziati, soprattutto in Grecia, come Archimede, Euclide o Pitagora, ma le cose vere erano spesso mescolate alle leggende e alle falsità. Non c’era un criterio per separare i fatti dalle opinioni, ciò che si credeva da ciò che si poteva dimostrare. Valeva l’ipse dixit, l’autorevolezza di uno studioso, come per esempio Aristotele, che trasformava in “verità” qualunque cosa dicesse: l’idea era che una persona così intelligente non si poteva sbagliare mai. Che cosa mancava?

Mancava quello che Piero Angela chiamava “il setaccio”: un sistema, cioè, capace di filtrare in modo indipendente la validità di una ricerca da una scoperta.

La straordinaria rivoluzione per il pensiero umano introdotta con il metodo scientifico equivale, dunque, a questo “setaccio” e consiste essenzialmente nel fatto che 

una volta formulata un’ipotesi per spiegare un fenomeno, 

non ci si ferma lì, 

ma si mette quell’ipotesi alla prova attraverso il controllo sperimentale: 

si accumulano cioè osservazioni 

e si conducono esperimenti capaci di confermarla o smentirla.

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Semplice e chiaro! O no? In effetti una buona parte degli esseri umani (io compreso, a volte) si affida ad altri "sistemi": intuito, sensazioni, ipse dixit, "l'ha detto mio cugggino!", ecc.

Per fortuna esiste la scienza ed esistono i bravi scienziati!


Relatività e meccanica quantistica

Visto che il post che ha ricevuto (e di gran lunga) più visite è quello relativo alla quantistica eccone un altro che, a mio avviso, spiega in maniera semplice (forse un po' troppo...) la differenza tra la teoria della relatività generale e la meccanica quantistica.

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Perché relatività e meccanica quantistica sono (relativamente) incompatibili fra loro

1. Cosa prevede la teoria della relatività

Per capire questa conflittualità torniamo al 1915, quando Albert Einstein pubblicò la sua teoria della relatività generale. Si tratta di una delle teorie di maggior successo della storia della scienza, tanto che le sue previsioni continuano ad essere confermate tutt’ora. Dalle scoperte relative ai buchi neri, al principio di equivalenza dimostrato nello spazio dal satellite MICROSCOPE, a come la luce emessa dalla stella S2, in orbita attorno al buco nero del centro galattico, mostri un redshift gravitazionale proprio come previsto dalla relatività generale. Sono solo alcuni esempi della validità della formula di Einstein.

Nonostante questo, la teoria della relatività non può essere la descrizione ultima della gravità. Si tratta di una teoria classica dei campi, che concepisce lo spazio e il tempo come continui, cioè infinitamente divisibili, e gli eventi che in essi accadono come deterministici, ovvero dipendenti gli uni dagli altri in base a precise e quantificabili relazioni di causa-effetto. Nella relatività generale massa ed energia e spazio e tempo sono vincolati da rapporti numerici. Essi descrivono con precisione distribuzione e moto della massa-energia, nonché la curvatura dello spazio-tempo in qualunque luogo e momento temporale.

2. La meccanica quantistica, spiegata.

Quando ci si avventura nel mondo microscopico, i fenomeni osservabili sono regolati da leggi formulate da un’altra descrizione della realtà, efficace almeno quanto la relatività generale: la fisica quantistica. Nel mondo dei quanti, spazio e tempo non sono continui come nella relatività generale, ma discreti. Esistono limiti alla loro divisibilità, al di sotto dei quali spazio e tempo perdono di significato. Sono la lunghezza (1,6×10⁻³⁵ m) e il tempo di Planck (5,4×10⁻⁴⁴ s).

Non basta. A fondamento della fisica quantistica c’è il principio di indeterminazione, che sostiene sia impossibile conoscere con precisione assoluta entrambi i valori di grandezze coniugate, come la quantità di moto e la posizione di una determinata particella. È un principio che nasce dalla natura ondulatoria dei quanti: non solo i fotoni, ma anche particelle come protoni, elettroni e neutroni sono descritti nella fisica quantistica da funzioni d’onda che hanno una distribuzione probabilistica. Vuol dire che nel mondo subatomico c’è sempre una certa dose di incertezza che non possiamo eliminare.

Insomma, l’indeterminazione intrinseca dei quanti “spazza via” la classica e ordinata bellezza del mondo descritto dalla relatività generale. Si usa quest’ultima per descrivere, ad esempio, i fenomeni di lente gravitazionale generati da ammassi di galassie. Si ricorre alla fisica quantistica quando si studia il fenomeno di entanglement tra particelle arbitrariamente distanti.

Valerio Novara, ottobre 5, 2023

https://www.passioneastronomia.it/perche-relativita-e-meccanica-quantistica-sono-incompatibili-fra-loro-la-risposta/?fbclid=IwAR0lmm8XXaKbYFxZVRiZVjNbLg61DaC3OVnDWlguS-6-Z4duCiqKso2EfN8