venerdì 25 febbraio 2022

Condannati ad esistere

 Ciascuno di noi può provare terrore nell'immaginarsi "Condannato ad esistere" in eterno, senza potersi sottrarre a tale condizione. (Sull'inquietante tematica di un'eternità concepita come perenne ritorno dell'uguale ricordo, ad esempio, il romanzo "L'invenzione di Morel" di A. Bioy Casares). 

Noi pensiamo all'eternità come a una successione di attimi, poiché viviamo nella materia e, quindi, concepiamo il tempo, necessariamente, nell'unico modo in cui lo sperimentiamo, nella dimensione materiale. E non potrebbe essere altrimenti. 

Benedetto XVI afferma di attendere la morte "con animo lieto": lo invidio. La mia fede, pur presente, non mi dà una tale pacatezza. 

La fede, comunque, significa abbandono. 

Per me significa riconoscermi come creatura. Nel momento in cui la mia mente accetta questa consapevolezza, realizza, nel contempo, di non sapere, di non poter concepire più di quanto la sua attuale dimensione materiale le consenta. Solo così mi risulta accettabile, e poi anche desiderabile, l'idea di una forma di esistenza in cui la mia percezione del tempo dovrà necessariamente modificarsi, in modo che la gioia possa non avere limiti, poiché "le cose di prima saranno passate" (Ap. 21), e i giusti potranno vedere Dio "faccia a faccia". 

Se realmente acconsento alla possibilità di riconoscermi come creatura di Dio, credo, allora, in un'eternità di perdono, di amore, quella che Dio ha pensato come la nostra realizzazione, e che non riusciamo ad immaginare, qui dove siamo. 

Elisabetta Simoni

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Ho dovuto rileggerlo tre volte per "capirlo" anche se, in realtà, ho capito ben poco e parafrasando un vecchio detto: "Non ho nemmeno capito dove non ho capito!!"

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