Una delle cose su cui mi interrogo ormai da tempo. Non solo in politica o sui social, ma su qualunque argomento: dal clima ai vaccini, fino al calcio o alle diete. Viviamo circondati da persone convinte - spesso in buona fede - di possedere la verità. E se provi a mostrare un fatto, un dato, un dubbio, si irrigidiscono. E a volte diventano ostili.
Lo psicologo Leon Festinger lo aveva previsto già negli anni Cinquanta: a un uomo con una convinzione è difficilissimo far cambiare idea. Se gli dici che non sei d’accordo, si gira dall’altra parte. Se gli mostri fatti o cifre, mette in dubbio le tue fonti. Appellati alla logica e non riuscirà a capire il tuo punto di vista. Vuole credere di avere ragione. Ha bisogno di crederci. E niente glielo impedirà.
È un fenomeno che abbiamo incontrato spesso, la dissonanza cognitiva, quella tensione che proviamo quando la realtà contraddice le nostre convinzioni. E per evitarla, preferiamo distorcere la realtà piuttosto che rivedere le nostre idee. Ma questo atteggiamento - tanto umano quanto pericoloso - è una prigione. Un ergastolo intellettuale che ci tiene inchiodati alle nostre certezze, incapaci di meravigliarci ancora.
Quando ne parlavo con Piero Angela, gli chiedevo se mettersi continuamente in discussione non fosse un po’ faticoso. Lui mi rispose con quella calma che gli era propria: "Hai ragione, è faticoso. Ma è anche bellissimo. Perché è come salire sempre su nuove colline: scopri paesaggi sconosciuti, vedi cose di cui ignoravi l’esistenza. È il piacere intellettuale di esplorare, di capire il nuovo, il diverso. Certo, bisogna rinunciare al senso di sicurezza che le certezze ti danno. Ma restare fermi è come vivere in un ergastolo mentale."
Di questi tempi, mentre vediamo crescere la tendenza a dividere il mondo in “noi” e “loro”, penso spesso a quelle parole. Le vedo riflesse nelle discussioni online, dove chi urla di più crede di avere ragione, e chi dubita sembra debole. Eppure è il contrario: dubitare è un atto di forza. Accettare di poter sbagliare è il primo passo verso la conoscenza. È la stessa curiosità che spingeva Leonardo a guardare il mondo come se fosse sempre la prima volta, a non accontentarsi mai della prima risposta. È la stessa umiltà che anima la scienza: ogni volta che trova una verità, sa che dovrà metterla alla prova.
In un’epoca in cui gli algoritmi ci mostrano solo ciò che conferma le nostre opinioni, l’unico modo per restare liberi è questo: coltivare l’umiltà, fuggire l’ergastolo delle certezze e continuare a salire nuove colline. Solo così possiamo mantenere viva la curiosità e, con essa, la nostra umanità.
Massimo Polidoro, newsletter@massimopolidoro.com, 02-11-2025